© DEBORAH GARCÍA BELLO, 2019
Il motivo per cui si formano le pieghe sui tessuti risiede nella loro stessa natura chimica. Si tratta di un processo di rottura e formazione di legami intermolecolari regolati da calore, pressione e acqua. Comprendere il funzionamento di questo processo dal punto di vista chimico, ci ha consentito di sviluppare nuove tecniche di stiratura che richiedono meno fatica, oltre a ridurre l'impatto ambientale prolungando la vita utile dei capi e diminuendo il consumo energetico.
Come si formano le pieghe
I tessuti di origine vegetale come cotone, lino e canapa sono costituiti da cellulosa, un polimero lineare, ossia formato da molecole di glucosio legate l'una all'altra, come le perle di una collana. Tra le catene di cellulosa si creano legami deboli denominati ponti a idrogeno.
Questi legami a idrogeno sono particolarmente dinamici, possono rompersi e riformarsi con una certa facilità. Anche la semplice pressione esercitata da un capo piegato su un altro è in grado di modificare i legami a idrogeno di alcuni tessuti, per questo motivo alcuni capi tendono a sgualcirsi più facilmente.
La maggiore o minore inclinazione alla formazione di pieghe dipende dalla composizione dei tessuti. I tessuti naturali di cellulosa sono quelli più soggetti alla formazione di pieghe (cotone, lino…). I tessuti realizzati in fibra di cellulosa rigenerata tendono a sgualcirsi meno. Queste fibre sono prodotte a partire dalla cellulosa naturale, che per prima cosa viene sottoposta a processi chimici per essere trasformata in nitrato o acetato di cellulosa, quindi riorganizzata in fibre. Il rayon, la viscosa, l'acetato o il tencel sono esempi di tessuti in fibra di cellulosa rigenerata. Le fibre sintetiche, come poliestere e nylon, sono caratterizzate da una tipologia più differenziata ma in generale tendono a sgualcirsi meno. Infine, le fibre meno soggette alla formazione di pieghe sono di origine animale come la seta e la lana.
Uno dei motivi per cui i tessuti naturali sono arricchiti con fibre sintetiche o rigenerate, come l'elastan o la viscosa, è limitare la formazione delle pieghe oltre a migliorare l'elasticità e la vestibilità.
Anche l'intreccio dei tessuti influisce sulla formazione delle pieghe, ovvero i tessuti piani, come la stoffa di una camicia tradizionale, tendono a formare più pieghe rispetto ai tessuti a maglia, come quelli di maglioni e felpe, nonostante la composizione sia la medesima.
Un altro aspetto da considerare è il numero di fili per centimetro quadrato e il livello di tensione dell'intreccio. La formazione di pieghe risulta tanto più elevata quanto più i fili dell'intreccio sono allentati. Inoltre i fili sono piegati gli uni sugli altri, pertanto più saranno tesi e tirati, più rimarranno dritti nella stoffa. Per questo motivo i tessuti di alta qualità, come quelli utilizzati per i mantón di Manila, non sono soggetti alla formazione di pieghe. Al contrario, i tessuti di bassa qualità tendono a formare molte pieghe perché i fili sono molto distanti, privi di una struttura definita.
Dal punto di vista chimico, la formazione di pieghe è il risultato di un processo di rottura e creazione di legami su cui influiscono fattori quali umidità, temperatura e pressione. I polimeri che formano i tessuti presentano due tipi di legami: i legami forti detti covalenti, che tengono uniti i monomeri di cui è costituito un polimero, e i legami deboli a idrogeno, che tengono uniti i polimeri tra di loro.
I legami covalenti sono troppo forti per essere spezzati dalla pressione o dalla temperatura che utilizziamo normalmente sui capi, però si indeboliscono diventando più malleabili. Questo processo è conosciuto come transizione vetrosa, ovvero il meccanismo con cui un polimero amorfo passa allo stato vetroso, cioè rigido e riordinato, per effetto della pressione e della temperatura. Prendiamo ad esempio il cotone, il cui punto di transizione vetrosa si trova a 22 °C con un'umidità relativa del 78%; quindi, una volta superati questi parametri, sul cotone inizieranno a comparire le prime pieghe.
I legami a idrogeno sono abbastanza deboli per essere interrotti dall'azione di pressione, temperatura e umidità. Le molecole di acqua possono posizionarsi tra i polimeri di cellulosa, influendo sui legami tra gli uni con gli altri, e questo tipo di processo viene agevolato dal calore. Asciugandosi, i capi perdono le molecole d'acqua per evaporazione e i legami a idrogeno si riformano, ma nella nuova posizione assunta dal capo, che può essere liscia o presentare pieghe. Ecco il motivo per cui i capi sono sgualciti quando li togliamo dalla lavatrice e mantengono le pieghe una volta asciutti.
I tessuti a base di cellulosa, come cotone, lino e rayon, sono i più soggetti alla formazione di pieghe poiché possono raccogliere una maggiore quantità d'acqua tra le loro fibre rispetto ai tessuti sintetici come il poliestere e la poliammide.
Perché la stiratura elimina le pieghe
Stirare significa fondamentalmente applicare pressione e calore sui tessuti. Questa azione ammorbidisce la stoffa, che raggiunge la temperatura di transizione vetrosa, e ci consente di riordinarla finché i polimeri di cellulosa non si allineano come desideriamo. Con il diminuire della temperatura, i legami covalenti mantengono la posizione imposta con la stiratura e si creano nuovi legami a idrogeno che mantengono stabilmente la nuova posizione.
Per agevolare il processo si utilizza anche il vapore acqueo. L'acqua favorisce la comparsa delle pieghe ma, attraverso lo stesso meccanismo, ne consente l'eliminazione senza il bisogno di applicare pressione e temperatura eccessive. Stirando con il vapore, riordiniamo i polimeri di cellulosa e introduciamo tra le fibre molecole di acqua che portano alla formazione di nuovi legami a idrogeno.
Applicando il vapore, la stiratura risulta più delicata e mantiene l'integrità del filato, per questo rappresenta un fattore determinante per la cura dei tessuti.
La stiratura prolunga la vita utile dei capi
L'impatto ambientale del settore tessile è indubbiamente elevato: dalla fabbricazione dei tessuti alla produzione e al confezionamento dei capi di abbigliamento pronti per la vendita, per non parlare della quantità di indumenti che acquistiamo e la velocità con cui li sostituiamo, poiché ormai il loro ciclo di utilizzo è sempre più breve rispetto al passato. Alla base di questa tendenza non troviamo solo la cultura del consumismo e i capricci della moda ma anche la qualità e la cura dei capi.
La filatura delle fibre di cellulosa rigenerata viene eseguita utilizzando lo spinneret, un meccanismo che permette di regolare il grado di compressione delle fibre che formano il filato. Una compressione migliore e più elevata impedisce alle fibre di staccarsi. Quando una parte delle fibre si stacca, il tessuto risulta invecchiato ed è più facilmente soggetto al pilling, ossia la comparsa delle antiestetiche "palline". Questo accade perché le fibre separate stabiliscono nuovi legami a idrogeno tra di loro ma al di fuori della trama del tessuto e tale fenomeno riguarda sia le fibre di cellulosa naturale sia quelle di cellulosa rigenerata.
La stiratura previene il processo di invecchiamento, poiché obbliga le fibre a mantenere i legami l'una con l'altra all'interno della trama del tessuto. Inoltre, può invertire in larga misura tale processo, poiché la stiratura a vapore obbliga le fibre separate a legarsi nuovamente alla trama principale. E questo è uno dei motivi per cui la stiratura prolunga la vita utile dei capi.
Nel corso dei secoli, la stiratura dei capi di abbigliamento aveva anche la funzione di tenere lontani i microrganismi patogeni. Circa 70 anni fa serviva a prevenire tre malattie infettive devastanti che hanno ucciso milioni di persone. Il semplice fatto di nominarle provocava il terrore: tifo, febbre delle trincee e febbre ricorrente epidemica. Queste 3 malattie sono accomunate dallo stesso organismo portatore: il pediculus humanus humanus, un parassita che si annida nei tessuti dei vestiti.
Con molta probabilità, la civiltà greca e quella cinese avevano già capito che la stiratura eliminava i pidocchi del corpo. Tuttavia, fu solo durante la Guerra di secessione nordamericana che alcuni medici e infermiere annotarono le proprie osservazioni su come la stiratura delle uniformi uccideva i pidocchi, inattivandone le uova. Il personale sanitario iniziò quindi a raccomandare ai soldati di stirare con molta frequenza i propri vestiti, soprattutto in corrispondenza delle cuciture. Si trattava di un modo semplice per prevenire il tifo.
Ma fu solo con la Prima guerra mondiale che gli effetti della stiratura furono oggetto di studi rigorosi. Condotti da entrambi gli schieramenti, svariati studi scientifici dimostrarono che la stiratura rappresentava la soluzione migliore per liberarsi da tali parassiti. Anche la bollitura dei vestiti era molto efficace. Le infermiere svolsero un importante ruolo didattico in questo senso e la pratica della stiratura divenne generalizzata.
Al termine della Grande guerra, i fabbricanti di elettrodomestici cominciarono a produrre milioni di ferri da stiro all'anno: uno per ogni focolare domestico. Il motivo per cui si stiravano i vestiti non era estetico ma igienico.
Attualmente, secondo i sondaggi, il 23% delle persone continua a stirare per motivi di igiene. La temperatura raggiunta dai tessuti con il ferro da stiro è in genere superiore a quella del lavaggio, quindi alcuni agenti patogeni resistenti annidati nei tessuti vengono eliminati solo mediante la stiratura, soprattutto dai tessuti naturali come il cotone, che offrono condizioni ottimali per la proliferazione dei microrganismi. Le colonie batteriche accorciano la vita utile dei tessuti, oltre a rappresentare un focolaio di infezione. E se questi microbi riescono a creare una pellicola organica, una colonia consolidata praticamente impossibile da distruggere, il tessuto si trasforma in un rifiuto irrecuperabile.
L'impatto ambientale della stiratura
Il settore tessile è uno dei maggiori produttori di gas a effetto serra ed è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali. Considerando il ciclo di vita completo dei prodotti tessili, dalla produzione allo smaltimento, i consumatori utilizzano la maggiore quantità di energia nella cura del prodotto (cioè lavaggio, asciugatura, stiratura e altre azioni necessarie alla manutenzione), incidendo quasi per il 39% su queste emissioni di gas a effetto serra. Pertanto, la cura sostenibile dei prodotti tessili costituisce un aspetto fondamentale per ridurne l'impatto ambientale.
Per la cura delle fibre di cotone è necessario un elevato consumo di energia. Ad esempio, per una maglietta di cotone, il 40% del consumo energetico va attribuito alla realizzazione mentre il restante 60% deriva dalle azioni eseguite dal consumatore per la sua cura, ovvero lavaggio, asciugatura e stiratura. Per questa ragione, è opportuno utilizzare elettrodomestici a basso consumo energetico.
Secondo la Guía práctica de la energía (Guida pratica al consumo energetico) redatta dall'Instituto para la Diversificación y Ahorro de la Energía (IDAE, Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico) del Ministero spagnolo per l'industria, il turismo e il commercio, in Spagna un'abitazione media consuma circa 4.000 kWh all'anno. Se l'abitazione dispone di tutte le attrezzature alimentate a energia elettrica, il 7% sarà da attribuire ai piccoli elettrodomestici, tra cui il ferro da stiro.
Limitandoci a parlare della stiratura, esistono due metodi per ridurre il consumo energetico. Il primo è stirare maggiori quantità di capi alla volta: invece di accendere il ferro da stiro quando abbiamo bisogno di un vestito in particolare, è preferibile stirare più capi insieme. L'altro metodo è scegliere un ferro da stiro con caldaia che consenta di risparmiare fino al 46% rispetto ai ferri da stiro a vapore tradizionali, secondo il rapporto dell'IDAE.
—Fonti bibliografiche principali:
Guía práctica de la energía dell'Instituto para la Diversificación y Ahorro de la Energía (IDAE) del Ministerio de Industria, Turismo y Comercio.
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Los centros de planchado compensan con las grandes coladas. Studio condotto dalla rivista Consumer.
¿Qué consume más, la plancha convencional o el centro de planchado? Studio condotto dal Laboratorio del ahorro.
How chemistry can make your ironing easier. Mark Lorch, Professor of Science Communication and Chemistry, University of Hull. Pubblicato in The Conversation.
¿Por qué planchar alisa la ropa? América Valenzuela. Pubblicato in RTVE.
-Note dell'autrice:
La stesura di questo articolo è stata possibile grazie alla collaborazione di Polti. L'articolo è stato redatto in piena libertà e in conformità con i criteri di pubblicità responsabile.
Estratto del contenuto originale di Deborah García Bello. Leggi qui l'articolo completo: http://dimetilsulfuro.es/2020/03/06/como-planchar-de-forma-mas-sostenible-segun-la-ciencia/
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