Avezzano, 12 maggio 2024
Domenica, una bella giornata, sole ‘tiepido’, brezza, area di festa.
Approfitto del riposo ‘lavorativo’ e decido che mi vivrò la gara ‘da dentro’, vivendo ogni attimo ed inizio con il mio momento preferito, un caffè SOLO in compagnia dei ciclisti, famiglia e ospiti nella zona bus.
A me piace molto la zona bus o paddock, come spesso viene chiamata.
I meccanici preparano le bici, gli ospiti chiacchierano emozionati, i ciclisti si preparano con i loro rituali, riunione tecnica a ‘porte chiuse’…
Noi (con me quest’oggi: massaggiatore, fotografo, videomaker, dottore) partiamo 30 minuti prima, anticipando la gara per arrivare al km assegnato per la prima Feed Zone e, mentre attraversiamo i paesi vestiti in rosa, seguiamo la corsa in diretta (viva la tecnologia). Pochi minuti dalla partenza e Mirco Maestri e Andrea Pietrobon del ‘nostro’ Team Polti Kometa partono in fuga. Nessuno li segue. Una fuga di due uomini. In macchina si mormora, perché nessuno li segue? Ci vorrebbe un bel gruppetto di 5 o 6… (io ascolto, imparo, faccio domande, curiosa).
186 km di fuga, soli, vento in faccia, anzi spesso di traverso, cambi regolari, Paperino e Pierino (questi i soprannomi di Mirco e Andrea) continuano la loro impresa: coraggiosi e temerari li descrive la telecronista a bordo strada, Giada Borgato.
In ammiraglia li seguono Stefano Zanatta e Ivan Basso, Direttore Sportivo e Team Principal della squadra, pronti a dare suggerimenti, sostenerli, rifornirli.
Il finale è scritto, da tutti i vari commentatori pronosticato: verranno ripresi dal gruppo, questa è una tappa per velocisti. Così succede. Non prima che Alanphillipe tenti un altro strappo e si stacchi un gruppo di sei…. Con Mirco che rimane a ruota e chiede - giustamente – il cambio nel tirare il gruppetto.
Nonostante la vittoria non sia arrivata, il telefonino brucia per tutti i messaggi che ricevo: forza Team Polti, che bella visibilità! Dai che ci crediamo: amici, sconosciuti, tifosi… Anche sulle strade, un caloroso tifo accoglie i mezzi e i ragazzi. E allora perché ho un pochino di amarezza in bocca?
In primis, il dispiacere, io ci credevo, per loro, per i ragazzi, per Mirco in particolare, sapevo che ci avrebbe tentato e so quanto forte sia il suo desiderio di salire su quel palco.
In secondo luogo, sempre il dispiacere di realizzare che anche in questo ambiente sto constatando che non riusciamo a ‘fare sistema’, ci si lamenta di quello che manca, non si apprezza e valorizza quello che c’è, non ci si supporta a vicenda, cercando colpe invece di prendersi il pezzettino di responsabilità.
A che cosa mi riferisco? Durante la tele cronaca si è parlato di fuga per la visibilità. I commentatori si domandavano se valesse la pena fare una fuga del genere… ok gli sponsor ma… sono in due, forse dovevano rientrare?
Gli stessi commentatori un’oretta dopo facevano la considerazione che Manca la squadra World Tour in Italia…
Da imprenditrice – che ha scelto di investire fortemente in questo sport – mi sono chiesta: ma non è una contraddizione? Domandarsi prima se valga la pena fare una fuga ‘per la visibilità’ e poi dire che manca una squadra World Tour? Ma gli sponsor che dovrebbero sostenere una squadra World Tour non chiederebbero visibilità? Ma non è possibile che fra qualche anno proprio la squadra attuale italiana pro team che porta anche il mio nome, una delle due invitate al giro, possa diventare world tour se otterrà i risultati prefissati, sportivi e i suoi sponsor quelli economici?
E con questa amarezza, mista a curiosità per questi commenti, per questo mondo che sto imparando a conoscere, mi sono seduta al tavolo per la cena con lo staff e ho domandato e ho ascoltato.
Stefano Zanatta mi ha spiegato in maniera molto dettagliata, le dinamiche delle squadre e di come siano cambiate nel tempo; quando ho approfondito con lui parlando dei nostri ragazzi e gli ho chiesto se fosse soddisfatto delle loro performance, mi ha confermato che da parte sua li invita sempre a provarci, solo chi osa ottiene, e che se qualche altro corridore avesse accettato la sfida e fosse andato in fuga, potevano giocarsela arrivando con distacco dal gruppo.
Ivan ha dato anche un’altra lettura di questa fuga: “Ci chiediamo come facciamo a far appassionare i ragazzi a questo bello sport, così: andando in fuga, credendoci, essendo di ispirazione per i giovani bambini che ti incitano e urlano per strada e ricevono una borraccia da chi, per quasi 200 km, si è preso il vento in faccia”. Ho chiesto anche il ‘permesso’ di intervistare Mirco. Ed ecco le sue parole.
“Quando attacchi, la speranza è sempre di farcela e di arrivare per primo, tutti davano per scontato l’arrivo in volata ma alla fine è arrivato solo un gruppo di settanta; se fossimo stati di più in fuga, poteva essere tutta un’altra tappa. A me è successo due volte di andare in fuga al giro, entrambe le volte si pensava che arrivasse la volata, ma – secondo me - è sbagliato dare le tappe ‘per scontate’, per questo ci si prova.” Si anima e mi racconta del passato: “C’era più speranza nelle fughe, ci si provava sempre, in sette giri di Italia è la prima volta che ho visto una tappa senza nessuno che parte in fuga, è la tecnologia? Troppa strategia? Forse tutto troppo tecnico, ma io sono uno di cuore, il cuore ha ancora la sua importanza.
Siamo al Giro di Italia, se non onoriamo la corsa al Giro, quando dobbiamo farlo? Io sento di aver onorato il Giro e i colori della mia maglia, di cui vado fiero. Ci sono persone che pagherebbero per essere qua, chi sbaglia è chi non parte per la fuga, non noi.”
Gli faccio un’ultima domanda, come stai? “Sono contento della fuga, per il resto sono autocritico e scaramantico: vula bass e schiva i sass si dice nel mio dialetto” e sorride.
Un sorriso che mi scalda il cuore, il cuore di cui si sono dimenticati, e ciò mi rende ancora più orgogliosa della ‘nostra’ squadra.
Francesca Polti